1. Premessa

Quando si parla dell’uso dell’azoto nel gonfiaggio dei pneumatici, si rischia sempre di essere costretti a schierarsi su due diverse posizioni tra loro alternative. Vi sono, da un lato, coloro che ne negano nel modo più assoluto qualunque reale utilità pratica; vi sono, dall’altro, quelli che invece ne sostengono ad oltranza i benefici derivanti dal suo utilizzo. Come spesso accade, non sempre è facile capire quale delle due posizioni sia la più corretta. Noi ci proviamo, cercando di mettere ordine sulle motivazioni che sostengono entrambe.

 

2. Favorevoli

Innanzitutto, quali sono i vantaggi che operatori e aziende produttrici di generatori di azoto attribuiscono al suo utilizzo nelle gomme? Si tratta, soprattutto, di vantaggi in termini di sicurezza di marcia.
Un primo benefici riguarderebbe la pressione del pneumatico che, grazie proprio alle caratteristiche specifiche dell’azoto, dovrebbe rimanere costante per un periodo di tempo tre volte superiore rispetto a quanto normalmente avviene usando la normale aria: ciò porterebbe ad una riduzione dei controlli periodici, ad un minor consumo del battistrada e ad un conseguente allungamento della vita del pneumatico. Una corretta pressione permetterebbe, tra l’altro, anche di ridurre al massimo la resistenza al rotolamento del pneumatico (con una conseguente, sia pure lieve, riduzione dei consumi di carburante).
Un secondo vantaggio deriverebbe dalle caratteristiche di gas inerte proprie dell’azoto: in base a ciò, questo gas dovrebbe tendere a mantenere costante la sua pressione al variare della temperatura dei pneumatici durante il loro utilizzo. Nella pratica, questo dovrebbe voler dire che, nonostante le variazioni di temperatura che avvengono in un pneumatico durante il suo normale impiego, la pressione iniziale verrebbe a rimanere praticamente costante anche a pneumatico caldo. Sarebbe proprio questa la caratteristica dell’azoto che avrebbe favorito la diffusione dell’uso di questo sistema di gonfiaggio dei pneumatici nelle competizioni automobilistiche (a tutti i livelli); infatti, nella guida sportiva, una pressione costante garantirebbe un comportamento dinamico più regolare del pneumatico, con conseguenti miglioramenti in termini di costanza delle sue prestazioni nell’arco della gara. E anche nella normale guida su strada, una pressione costante al salire della temperatura eviterebbe qualsiasi rischio di scoppio dovuto a surriscaldamento (riducendo di molto anche il rischio di esplosione del pneumatico nel caso esso sia già danneggiato nella sua stessa struttura): infatti, la temperatura a cui viene sottoposto, durante il suo utilizzo, il pneumatico gonfiato con aria favorirebbe – tramite l’ossigeno – una combustione spontanea che potrebbe quindi portare all’esplosione della gomma stessa.
Un terzo vantaggio, inoltre,  consisterebbe nella maggiore salvaguardia delle valvole, del pneumatico e del cerchio dal naturale processo di ossidazione generato dall’umidità e dall’ossigeno contenuti nella normale aria compressa immessa nel pneumatico. Infatti, se l’aria è composta per il 78% di azoto, per il 20% di ossigeno, per l’1% di anidride carbonica e per un altro 1% da vari altri gas, la miscela a base di azoto utilizzata nel gonfiaggio di pneumatici è invece completamente priva di ossigeno e vapore d’acqua: si eviterebbero così gli svantaggi appena citati. Ciò, ovviamente, a tutto vantaggio della sicurezza di marcia. Inoltre, nel gonfiaggio con la comune aria compressa, anche l’inevitabile immissione di piccole quantità di vapori d’olio contenuti nei circuiti di lubrificazione dei compressori usati per questa operazione favorirebbe l’invecchiamento della gomma determinando – con l’aiuto dell’ossigeno e del vapore d’acqua – anche la formazione di miscele infiammabili. I compressori d’aria, poi, trasferirebbero all’interno del pneumatico umidità, che sarebbe anche causa di sbalzi di pressione con conseguenze sull’integrità del pneumatico e, in definitiva, sulla sicurezza di guida.Infine, una nota ecologista: pneumatici meglio conservati potrebbero (al termine del loro ciclo vitale) essere poi ricostruiti in maggior numero, con immaginabili vantaggi in termini di riduzione della produzione di questo genere di rifiuti.

 

3. …O contrari?

Parlando dei vantaggi, abbiamo sempre usato il condizionale, proprio in ossequio al fatto, accennato all’inizio, che in realtà è molto difficile distinguere la teoria dalla pratica, i benefici teorici da quelli concretamente riscontrabili nell’uso quotidiano dell’azoto. Ed altrettanto difficile è capire chi, tra sostenitori e scettici, abbia realmente ragione. Ma, a questo punto è bene domandarsi quali sono i motivi che conducono molti a dubitare della reale efficacia di questo sistema di gonfiaggio dei pneumatici. Ebbene, l’uso dell’azoto per gonfiare le gomme sarebbe irrilevante dal punto di vista delle prestazioni, dell’usura e del confort, anche perché – si sostiene – l’aria è già naturalmente composta per il 78% di azoto, quindi fare “il pieno” delle gomme con la normale aria compressa sarebbe pressoché equivalente al gonfiaggio con azoto. Ma, tra l’altro, sarebbero false – sempre secondo i detrattori – le stesse premesse di chi sostiene l’uso dell’azoto.In primo luogo, non sarebbe vero che la pressione sia mantenuta stabile più a lungo nel tempo: le perdite (dovute alla porosità del pneumatico, alla valvola e al cerchietto) sono le medesime e dipenderebbero dalla qualità della copertura e della ruota, non dal gas utilizzato. Ma scendiamo nel dettaglio. Sempre riguardo alla considerazione secondo cui l’azoto manterrebbe costante più a lungo nel tempo la sua pressione in quanto sfuggirebbe meno – rispetto all’ossigeno – attraverso il pneumatico (permeabilità), ci sarebbe da tenere presente che ambedue le molecole dei gas in questione hanno una grandezza relativamente grande, tale da non permettere alle molecole stesse di sfuggire attraverso il corpo del pneumatico; e comunque, se anche questo discorso valesse unicamente per l’aria e non per l’azoto, varrebbe la pena sottolineare che il raggio molecolare dell’azoto è di 1.8A, quello dell’aria è di 1.7A: quindi, la grandezza è praticamente identica. Come se non bastasse, qualcuno fa anche notare che vari anni fa i pneumatici delle biciclette da pista venivano gonfiati con un gas (l’elio) caratterizzato da molecole di grandezza inferiore (1.4A) e ad una pressione ben 4 volte maggiore di quella adottata nei pneumatici per auto (12 atmosfere delle biciclette contro le meno di 3 delle automobili): eppure, nonostante ciò, non si sarebbe riscontrato nessun problema di permeabilità e perdita di pressione. In sostanza, dunque, non sarebbe la permeabilità dell’aria sul pneumatico a determinare le perdite di pressione all’interno di esso, ma ben più comuni problemi di sfiati meccanici, come una non perfetta tenuta delle valvole, una non perfetta tenuta dei cerchi oltre ovviamente a buche, asperità del terreno e quant’altro possa influenzare le ruote nel loro uso quotidiano. Non è un caso – si afferma – se nel gonfiaggio con azoto vengono sostituite pure le valvole comuni a vantaggio di altre speciali con guarnizione metallica (di gran lunga più efficaci), la cui tenuta però non verrebbe controdimostrata a favore dell’aria gonfiando i pneumatici muniti di tali valvole con quest’ultima.
Ma non è finita qui. Infatti, un’altra considerazione che viene fatta per quanto riguarda la questione della permeabilità è quella che usando la normale aria compressa, al momento del gonfiaggio sottoposta ad una forte pressione di immissione, si dovrebbe a rigor di logica verificare sempre al momento del gonfiaccio – essendo l’aria naturalmente composta per il 78% da azoto – l’espulsione fuori dalle pareti del pneumatico di quel 22% di ossigeno, anidride carbonica ed altri gas che è presente nella normale aria, di fatto gonfiando la ruota con il solo azoto.  Ebbene, applichiamo concretamente tale principio secondo il quale, quindi, a volume costante il rapporto tra pressione e temperatura rimane sempre costante. Effettuiamo il gonfiaggio dei pneumatici quando fa molto caldo (per esempio, in estate), ad una temperatura ipotetica di 35 °C (che espressi in °k fanno 308°k) e ad una pressione di 2,50 atm: anche se non si dovesse verificare la più piccola perdita di gas, ci accorgeremmo – effettuando in inverno il rilevamento della stessa con una temperatura ipotetica di 0 °C (273°k) – che la pressione dei pneumatici sarebbe inevitabilmente di 2,25 atm. Già questo mette in evidenza come non è vero che l’azoto mantenga per natura la sua pressione costante: in 4 mesi, infatti, la pressione può calare visibilmente. E, considerato il fatto che 0,25 atm è un valore piuttosto influente sui 2,25 totali ai fini delle prestazioni e della sicurezza di guida, non sarebbe comunque affatto corretto affermare che con l’azoto non sarebbe necessario controllare frequentemente e sistematicamente la pressione dei pneumatici.
Veniamo poi al vantaggio della maggiore salvaguardia delle valvole, del pneumatico e del cerchio dal naturale processo di ossidazione generato dall’umidità e dall’ossigeno contenuti nella normale aria compressa immessa nel pneumatico.Con riguardo alla questione principale che interessa prettamente il pneumatico, si sostiene che al di là del fatto che – in ogni caso – la piccola percentuale di umidità presente nell’aria non sarebbe in grado di danneggiare le cinture e la carcassa se non forse in tempi lunghissimi (ben superiori alla durata del pneumatico stesso), affermazioni del genere avrebbero comunque senso solo se vivessimo nel 1973. E’ di quell’anno infatti una pubblicazione dal titolo “Chimica”, scritta da Quagliano e Vallarino ed edita dalla Piccin Editore, in cui si legge a pagina 647: “La vita dei pneumatici può essere notevolmente allungata gonfiandoli con azoto invece che con aria. In questo modo si previene la corrosione ossidativa delle pareti interne della gomma da parte dell’ossigeno alle alte temperature e pressioni che normalmente si sviluppano nei pneumatici sotto sforzo.” Ora – si fa notare –  già in un’altra pubblicazione dal titolo “Chimica organica” del 1990, scritta da Vollhardt ed edita da Zanichelli, alla pagina 600 si può leggere: “La gomma sintetica… Il 2-cloro-1, il 3-butadiene, può essere polimerizzato in un composto elastico resistente al calore e all’ossigeno, composto che viene detto neoprene…”. Insomma, dal 1973 la ricerca, lo sviluppo e le tecniche di produzione e di composizione dei materiali con cui vengono oggi costruiti i nostri pneumatici avrebbero fatto dei tali passi in avanti che già nel 1990 questi problemi non erano più attuali. E per le stesse ragioni vengono fatte obiezioni anche alle tesi che pure i vapori d’olio dei compressori danneggerebbero le pareti interne del pneumatico, problema comunque questo alquanto marginale per gli stessi sostenitori dell’uso dell’azoto. Per quanto riguarda poi l’altro aspetto delle possibili ossidazioni, vale a dire quelle che interesserebbero cerchioni e valvole, si obietta più sempliciemente che tra le cause di sostituzione di pneumatici e cerchi ci sono il consumo, il taglio, lo scoppio e la foratura del pneumatico o ancora il danneggiamento fisico del cerchione che poi va a coinvolgere anche il deterioramento del pneumatico, ma mai a nessuno si sarebbe visto costretto a cambiare cerchio e valvole perché “ossidati”.Per quanto riguarda infine il vantaggio derivante dalle caratteristiche di gas inerte proprie dell’azoto – in base alle quali questo gas, a differenza dell’aria, dovrebbe tendere a mantenere costante la sua pressione al variare della temperatura dei pneumatici durante il loro utilizzo (contribuendo così ad evitare qualsiasi rischio di scoppio dovuto a surriscaldamento e riducendo di molto anche il rischio di esplosione del pneumatico nel caso esso sia già danneggiato nella sua stessa struttura) – si sostiene che in linea di massima si tratta di un’affermazione corretta; rimarrebbe però da stabilire in quale misura l’azoto si comporta in maniera differente rispetto all’aria sotto questo particolare aspetto e con quali vantaggi reali.  Dunque, si tratterebbe di termini correttivi dai valori dalla differenza (tra azoto e aria) ridottissima e che varierebbero la pressione dei due gas di misure assolutamente insignificanti. Non solo! Essendo l’aria comune composta già per un suo 78% da azoto, la variazione della pressione in funzione della temperatura andrebbe a modificarsi solo per il suo restante 22%, rendendo di fatto praticamente nulla qualsiasi differenza tra i due gas sotto questo punto di vista. Il discorso cambierebbe radicalmente sui pneumatici destinati alle competizioni, ma per ragioni ben più importanti e complesse che l’automobilista comune non si troverà mai ad affrontare per i pneumatici della propria auto, anche se destinata ad una guida prettamente sportiva o se lanciata a grandi velocità in autostrada. Vediamo di capire meglio il perché di questa affermazione. Tutto dipenderebbe dal fatto che l’azoto ha – rispetto alla normale aria – un comportamento più lineare, in quanto privo di umidità. E sarebbe proprio questo il motivo motivo per cui l’azoto trova applicazione nelle competizioni più estreme, laddove il mezzo decimo di bar in più o in meno può far cambiare notevolmente il comportamento dell’auto. Ma – attenzione! – questo utilizzo non sarebbe dovuto alla tanto pubblicizzata capacità intrinseca dell’azoto di variare meno la pressione, scaldandosi; piuttosto, esso sarebbe dovuto al fatto che, senza umidità, gli aumenti di pressione dovuti alla temperatura sono più prevedibili. Le gomme da competizione raggiungono e superano temperature dell’ordine di 130°C, valori impensabili nel caso dell’utilizzo (anche estremo) di normali gomme stradali. L’umidità atmosferica è acqua allo stato liquido in sospensione e quindi, gonfiando le gomme con aria comune, si immette dentro il pneumatico anche l’acqua in sospensione. Già questo pone un grosso problema di indeterminazione, poiché l’umidità atmosferica (e quindi la quantità di acqua in sospensione nell’aria) è una quantità che varia di giorno in giorno. Ma non basta. L’umidità relativa dell’aria indica il rapporto fra la pressione parziale del vapore d’acqua nell’aria e la tensione di vapore che avrebbe l’acqua alla stessa temperatura.

Tutto questo porta ad una semplice conclusione: senza conoscere l’esatta umidità dell’aria con la quale si sono gonfiate le gomme, non si ha modo di sapere la pressione che queste raggiungeranno durante l’utilizzo. Eliminare il vapor d’acqua, elimina quindi un grossissimo fattore d’imprevedibilità. Ma, lo si ribadisce, la cosa ha un suo reale significato solo con pneumatici che durante l’uso raggiungono temperature infinitamente superiori a quelle raggiunte dalle gomme delle normali auto stradali. E’ però bene dire che anche gli scettici ammettono che è vero, invece, che l’azoto viene usato per gonfiare le gomme degli aerei; al momento dell’atterraggio, infatti, lo stress meccanico può provocarne lo scoppio e in questo caso è effettivamente preferibile che all’interno del pneumatico sia presente un gas inerte piuttosto che una miscela ossigenata. Ma – si afferma – si tratta di un evento, per fortuna, quasi inesistente nel mondo dell’auto.Infine, chi è scettico sulla reale utilità dell’azoto nei pneumatici pone l’accento anche su una nota curiosa. Quando i pneumatici vengono gonfiati per la prima volta con azoto, questi andrebbero prima portati in sottovuoto, per eliminare quella naturale pressione atmosferica pari ad 1 atm presente nelle gomme. Domanda: ma i gommisti effettuano questa operazione? La risposta secondo i detrattori di questa pratica è no; per cui, quando il pneumatico viene gonfiato, in realtà nello stesso sarebbe già presente una miscela naturale di aria, ossigeno, anidride carbonica ed altri gas che di fatto renderebbe vana qualunque presunta miglior caratteristica dell’azoto, andandolo a mischiare con aria comune.

 

4. Conclusioni

In definitiva, chi si dichiara scettico in merito all’utilità dell’uso dell’azoto nelle gomme lo fa sostenendo la necessità di dover sempre distinguere tra i vantaggi teorici (su cui insiste largamente la pubblicità) e quelli effettivamente percepibili e fruibili dagli automobilisti. Limitandosi esclusivamente alla teoria, è vero che gonfiando le gomme con il solo azoto le perdite di pressione nel tempo si riducono. In pratica, però, i pneumatici sono progettati per garantire a lungo il mantenimento del corretto gonfiaggio con l’aria e se si manifestano cali, essi sono dovuti a difetti nella tenuta della valvola o del cerchio e si verificherebbero pure con l’azoto. Allo stesso modo, l’invecchiamento dei materiali è in certi casi più ridotto con l’azoto, anche per via della mancanza di umidità, ma tale processo ha tempi così lunghi che gli effetti dannosi si manifestano solo dopo molti anni e nel normale impiego non si notano differenze tra gonfiaggio ad aria e gonfiaggio ad azoto. Peraltro, va ricordato che un buon compressore d’aria è normalmente dotato di filtri e di separatori per la condensa che consentono di erogare aria secca. Infine, in linea teorica è vero che – rispetto all’aria – l’azoto ha minori variazioni di pressione in funzione della temperatura, ma nell’impiego normale dell’auto le differenze che si possono rilevare tra due pneumatici, uno gonfiato con l’azoto e l’altro con aria, sono assolutamente trascurabili. Per tutti questi motivi, si potrebbe dunque concludere, l’impiego dell’azoto nelle gomme nelle gomme non è certo dannoso, ma non apporta vantaggi apprezzabili da parte degli automobilisti. Tra l’altro, è verissimo che alcune case produttrici di pneumatici consigliano l’uso dell’azoto, ma tali consigli sono comunque circoscritti al settore dei veicoli industriali e per movimento terra.  [b]5. Tempi e costi [/b] Infine, per coloro che decidessero di ricorrere all’azoto per gonfiare le gomme della propria auto, un brevissimo cenno ai tempi e ai costi dell’operazione. Gonfiare i pneumatici con azoto richiede tempi rapidissimi (equivalenti a quelli di un normale gonfiaggio con aria); la spesa è abbastanza contenuta: in media, ci si limita ad una decina di euro o poco più.

 

Fonte: http://www.cuorialfisti.com